Il nuovo editor si ripropone, come la peperonata; stufo di recalcitrare, smetto qui.
Grazie a tutti, ci si becca in giro.
Il nuovo editor si ripropone, come la peperonata; stufo di recalcitrare, smetto qui.
Grazie a tutti, ci si becca in giro.
Il MidiMe, famigerato fancazzista, sta trattando online l’acquisto di un sassofono celeberrimo e concupito da molti, se non da tutti (non faccio nomi – qua il product placement non s’è usato mai, e men che meno gratis – ma, fidatevi: potrebbe tranquillamente essere definito Il Principe Dei Sassofoni), a circa un terzo della sua valutazione corrente.
Nonostante tutto quanto sopra, cui si aggiunga il fatto che in realtà nessuno qui ha bisogno di un Principe Dei Sassofoni, il MidiMe spalleggiato da mezza Legione* già rimpiange la Grande Occasione Perduta.
Siamo fatti male.
* la minoranza alza il sopracciglio; il Fanciullino estremista addirittura suggerisce di segnalare l’offerta a qualche autorità, evvabbe’…
Adesso io, avendolo copiato da Repubblica, manco so se appiccicare lo scherno il biasimo all’ambasciatore o al presunto autore della dichiarazione,
ma:
…dei falansteri e dei ginecei, ne vogliamo parlare?
sottotitolo: “È tanto tempo che – volevo dir(te)lo!”
Il MidiMe ha un numero di telefono facile da ricordare, perché contiene un ritornello (come d’altra parte si confà al grande – per quanto misconosciuto – musicista che crede di essere).
Purtroppo i numeri facili da ricordare sono ricercati anche da Enti Aziende Istituzioni, e nove volte su dieci* il telefono molesta il MidiMe perché qualcuno, sbagliando una cifra o due, vuole sapere a che ora è l’udienza della causa di sua suocera, o che ne è della sua bilirubina totale. Una signora una volta voleva un carro attrezzi, e prima di subito ché, perdio, con tutto quello che pagava di kasko.
Il MidiMe, cercando di non essere scortese (il MidiMe non spara mai per primo), aspetta la prima pausa – e a volte ci vuole un po’; magari gente che di solito ha difficoltà a ottenere l’attenzione altrui – e chiede “scusi, lei con chi crede di stare parlando?” e quindi rivela al postulante che ha sbagliato numero.
Ma, forse perché non è capace di dare la giusta intonazione alla domanda nell’idioma locale, a volte qualcuno la interpreta come “lei non sa chi sono io”, e si risente.
Altri non si perdono d’animo, e gli chiedono qual è dunque il numero giusto che devono fare. A questo punto, a volte, scatta il vaffanculo. Di solito in Italiano, tanto…
* il MidiMe riceve davvero poche telefonate destinate proprio a lui medesimo: è molto meno socievole di questo suo umile emissario-scrivano; e addirittura molto meno popolare di lui
(segue da qui)
io non voglio un cazzo di trapano:
voglio un cazzo di buco nel muro!
(slogan pro sharing economy)
colui che sorride quando
le cose vanno male
ha già pensato a qualcun altro
cui dare la colpa
(legge di Murphy)
Cento misure e un taglio si diceva ai tempi miei, ma non si specificava quanto tempo potevano richiedere le cento misure. Anni, sono portato a ritenere oggi. Se non decenni o secoli. Non è necessario prenderle personalmente, importante è conoscerle, in qualsiasi modo, al momento del taglio.
Lo specialista farà il lavoro in cambio di un bel monticello di breccola, e lo farà con meno amore entusiasmo di come lo faresti tu.
Però ci sono imprese che non sempre riescono al primo colpo, e in cui essere al primo o all’ottantesimo tentativo può fare la differenza.
Ci sono interventi che richiedono attrezzature (e spazi) che potresti non avere a portata di mano. E che il tuo ferramenta non vende. Magari te le puoi procurare con opportuna ricerca, per scoprire che una motocicletta (una tromba) nuova ti costerebbe meno; e dunque per ammortizzarle dovrai/dovresti trasformarti nel nemico: il professionista.
E stanno prendendo piede assemblaggi – e parlo di smalti vernici e adesivi, e relativi solventi – che richiedono conoscenze e precauzioni non alla portata di tutti. E che sono un po’ più pericolosi, oggettivamente, della buona vecchia martellata sul ditone.
Tolleranze incommensurabili a occhio umano. Decisive, a volte. Insospettabili, spesso.
Anche un po’ di teoria non fa mai male. E beato chi ce l’ha, se ce l’ha. E neanche quella la vende il ferramenta. Oggi si può tentare – è vero – di farsi un’idea su wikipedia e su youtube. Auguri.
Il professionista si pavoneggerà moltissimo, si farà pregare e ti farà pisciare sangue, ma intanto ti fornirà un culo da calciare, almeno metaforicamente, se le cose non vanno per il verso giusto.
Infine, quando ti appresti a improvvisare il lavoro di qualcun altro, spendi un paio di minuti a considerare quanto potrebbe essere difficile, nella realtà, improvvisare il tuo. La risposta potrebbe non piacerti.
chi comanda e fa da sé
è servito come un re.
(standard)
…non è forse stato un professionista
a rompere la mia aletta?
(R. Pirsig, “Lo Zen […] Della Motocicletta”)
Ripararsi le cose da soli offre una grande carica di autostima. Soprattutto quando lo si fa con mezzi di fortuna alla MacGyver* o – si parva licet – alla MidiMe modello secondo millennio.
Si risparmiano bei soldi, e impari cose utili sul funzionamento della tua macchina che forse** il manuale non dice; e sulla realtà in generale.
Altra nozione preziosa che il fai-da-te fornisce all’avventuroso avventuriero è la differenza fra naturale logoramento, uso improprio e costruzione/progettazione/assemblaggio scadente.
Attività caldamente consigliata ai curiosi ai pazienti e agli accomodanti (pun intended).
* non credo sia possibile – anche se non ho mai provato – riparare le eprom di un cellulare con un rotolo di scotch; tuttavia ho riparato una chiave di sassofono con una gomma da masticare, a suo tempo. La riparazione ha resistito anni, fino a essere dimenticata dal geniale autore, ed essere poi scoperta dal trombaro chiamato in causa per un lavoro più ampio…
** poco dopo aver smesso di leggere la narrativa e la saggistica, ho smesso anche con i manuali, lo confesso. Ma prima ne ho letti un bel po’, e ho qualche vaga idea, per una volta, di cosa sto dicendo. Un po’ datata, ammetterò.
(continua)
La parola “esilarante” non manca mai o quasi, sulla homepage di Repubblica.
Io sono sempre stato più che freddo nei confronti della massima “risus abundat in ore stultorum” – probabilmente in quanto stolto conclamato; ma a questo punto comincio a dubitare del fatto che gli stagisti di Repubblica ed io attribuiamo all’aggettivo “esilarante” lo stesso significato.
Boh. A me fa pena, più che altro: non posso trattenermi dal ricordare che in qualche situazione analoga (all’epoca la videoconferenza non esisteva, naturalmente; ma poteva capitare che due o più adulti conversassero fra loro in presenza di bambini) a mia madre sarebbe bastata mezza occhiata per teletrasportarmi all’istante nello sgabuzzino delle scope. Ma magari è meglio adesso.
Ridete, ridete.
Mi pentirò di averlo detto (come l’uccellino dell’apologo che, pur sepolto nella merda, canta); e anzi sono già pentito mentre lo scrivo,
ma
qualcuno ha spento i bot dello spam. O quantomeno dello spam mio.
Magari per allocare meglio quelle risorse; non dico per il mining del bitcoin ma insomma gli sarà venuto in mente – alla buon’ora! – qualcosa di meglio da fare con quelle macchine, quell’energia e quella banda. O forse si è solo stufato di pagare quelle bollette.
Per il momento questo blog e il suo schiavo ringraziano.
come un buon cavallo è un buon cavallo
finché non ti prende la mano una volta,
un buon orologio è un buon orologio
finché non ci mette le mani
l’orologiaio.
(M. Twain)
L’ammiraglia superstite – benché non indiscussa, c’ho un sassofono antico da paura, anche se pressoché privo di valore di mercato – della mia flotta di macchine del rumore è un clarinetto.
Di marca prestigiosa, di gamma alta, di prezzo altissimo; provato e lodato anche da un Grande del ramo, ai tempi (ai tempi in cui bazzicavo i grandi del ramo. Ai tempi in cui credevo di aver bisogno di un clarinetto professionale, e di potermelo permettere. E di esserne degno).
Mi sono affacciato da un riparatore perché cominciava ad essere un clarinetto con le percussioni incorporate; in particolare mi infastidiva un contatto fra due leve metalliche che avevano consumato la cartilagine di sughero nell’articolazione.
La mia intenzione era di dire guarda, potrei farlo io ma non ho voglia di affondare l’Economia ancora peggio, dunque vorrei far cambiare questo sughero.
Il Tecnico ha preso in mano lo Strumento (absit), e l’ha considerato. Poi lo ha criticato. Ha fatto a pezzi il suo stato di conservazione e con esso il responsabile di tale stato.
(me lo facevano anche i meccanici di motociclette, speravo di non assaporare mai più un’umiliazione simile avendo rinunciato alla motocicletta. Ahi me dolente come mi riscossi)
Abbiamo concordato un intervento dieci volte il tempo (e quindici volte il prezzo) che avevo immaginato io.
***
Vabe’, ce ri c’ho il clarinetto.
È diverso. Non so se è meglio o peggio – è che non lo riconosco. Non sono abituato.
E non so nemmeno quanto è più o meno vicino al clarinetto che ho comprato per amore vent’eccirca anni fa, o più. Non mi ricordo.
E se è più vicino o più lontano dalla clarinettità – non parliamone proprio.
Comunque, il bestiolino funziona. Funziona bene. Ed è bello pulito lucido, nero dove dev’essere nero e argento dove dev’essere argento. Per gli occhi è un piacere, anche se io personalmente non sono ancora pronto ad accettare che un clarinetto debba piacere agli occhi.
Quanto ai cambiamenti, ci verremo incontro: un po’ mi adatterò io, un po’ si assesterà lui.
Concludo richiamandomi all’esergo: la questione dell’orologiaio resta ingiudicata – e mai e poi mai mi metterei in battibecco co’ M. Twain, figuriamoci.
Ma intanto devo dichiarare che il mio clarinetto – sarà un bene? sarà un male? – non fa più tic-tac.